Il Museo archeologico di Grammichele

Storia di un territorio antico e di un terremoto che distrusse completamente un paese, Occhiolà, nella Sicilia Orientale. Ma dalle rovine ci si rialza e così, al posto di un borgo di casette di pietra intorno ad un castello prende forma una città ideale. Siamo a Grammichele, nel cui museo archeologico si racconta la storia di Occhiolà, a pochi km di distanza, dalle sue fasi più antiche, di età pregreca, fino al terremoto del 1693.

Il Museo Archeologico di Grammichele è allestito nel Palazzo Comunale di Grammichele che affaccia, insieme alla chiesa, proprio sulla piazza centrale della città: una piazza esagonale, base da cui si riverbera tutta la planimetria cittadina: un grande esagono, una città priva di mura, una città regolare e simmetrica. La Piazza centrale è intitolata non a caso a don Carlo Maria Carafa, principe di Butera e Roccella e Barone di Occhiolà. Il terremoto avvenne l’11 gennaio del 1693. Il 18 aprile di quello stesso anno veniva posata la prima pietra della nuova città, Grammichele.

Il Museo archeologico di Grammichele affaccia su piazza Carafa, la piazza esagonale della città

Per approfondire l’argomento vi consiglio la lettura di questo post di Memorie dal Mediterraneo.

Il museo archeologico di Grammichele

La narrazione della storia del territorio prima di Grammichele è affidata dunque al Museo archeologico, che ripercorre tutto il passato dalle fasi più antiche fino al giorno del terremoto.

Gli scavi archeologici dai quali provengono i materiali esposti sono stati realizzati per la maggior parte all’interno del Parco archeologico di Occhiolà, che dista da Grammichele pochi km; altri reperti provengono da scavi condotti nel territorio.

Le sepolture femminili a enchrytismòs

Il primo a indagare archeologicamente l’area è stato, ovviamente, Paolo Orsi, al cui nome è legata grandissima parte dell’archeologia siciliana nelle sue fasi più antiche. Paolo Orsi avviò indagini archeologiche presso la necropoli di Madonna del Piano – Mulino della Badia. Questi scavi, proseguiti successivamente da un altro grande mostro sacro dell’archeologia italiana, Luigi Bernabò Brea, portarono in luce alcune singolari sepolture a enchrytismòs entro pithos (sepoltura entro vaso: il pithos è un grosso vaso di terracotta) datate alla fine dell’età del Bronzo. Ed è con queste sepolture particolari che si apre il percorso museale del Museo di Grammichele. Sono ricostruite tre sepolture, che all’epoca dello scavo, 1959, non furono scavate in posto, ma prelevate e sottoposte a successivo scavo in laboratorio molti anni più tardi.

Tomba a enchrytismos dalla Necropoli della Madonna del Piano – Occhiolà

Le tre sepolture sono femminili, i loro corredi conservano un cospicuo numero di oggetti in bronzo, tra fibule, spirali e cavigliere, anelli in ferro, un pettine in avorio e soprattutto, oggetto alquanto raro, un calcofono, ovvero uno strumento musicale composto da varie maglie e parti in bronzo indossato a mo’ di collana, anzi di pettorale da queste donne, riconosciute a questo punto come sacerdotesse.

Lo scavo della Necropoli di Casa Cantoniera in Contrada Terravecchia ha portato alla luce il ricco corredo della Tomba 18, fatto di coppe ioniche; numerosi vasi ceramici appartenenti a questa fase riempiono le vetrine e ci parlano di una località che pur essendo nell’interno della Sicilia Orientale, si trovava in una zona di passaggio caratterizzata da siti di altura (da qui passa la Trasversale Sicula che molti secoli dopo fu percorsa dal viaggiatore arabo Ibn Battuta). Siamo nel VI secolo a.C.

Coppe ioniche dalla Tomba 18 della Necropoli di Casa Cantoniera, Occhiolà

L’età greca a Occhiolà

L’esposizione museale continua, accompagnandoci a scoprire il sito di Occhiolà in età greca.

L’area sacra di Poggio dell’Aquila è la più interessante dal punto di vista dei ritrovamenti. Risale al VII secolo a.C. ed ha restituito favisse (pozzetti votivi) colme di statuette fittili raffiguranti una figura femminile in trono: la grande madre per i Siculi, Demetra per i Greci. Una stipe votiva al momento dell’abbandono del santuario accoglie un torso di kouros in marmo pario e una statua di Demetra in terracotta. Questo santuario è stato interpretato come Tesmophorion, ovvero come santuario extraurbano sorto in un’area sacra per le popolazioni indigene.

Occhiolà 1693

Con brusco salto temporale passiamo dall’Occhiolà di età greca all’Occhiolà del 1693. Un piccolo centro del quale i resti ceramici di vasellame anche di importazione ci raccontano la vitalità. Una vitalità interrotta per sempre dal terremoto dell’11 gennaio del 1693, il terremoto del Val di Noto.

Ceramiche seicentesche dalle macerie di Occhiolà

Le ceramiche sono splendide. Abbiamo piastrelle in ceramica bianca e blu, brocche, piatti decorati, fondi di ciotole decorate a foglie gialle e blu, abbiamo persino un piatto in ceramica di produzione ligure, decorato con un puttino centrale.

Piatto in ceramica ligure dalle macerie di Occhiolà

Ma ciò che più attira l’attenzione è il presepio in statuette di terracotta. Ma per descriverlo occorre fare un passo indietro, o meglio, occorre fare un salto a Occhiolà.

Breve visita a Occhiolà

Torniamo a Occhiolà. Di questo paese letteralmente abbattuto dalla furia del terremoto non rimangono che poche pietre di pochi muri in piedi. Camminarvi oggi è alquanto desolante se, invece che pensare ad esso come a un sito archeologico, pensiamo ad esso come ad un paese disastrato dal cataclisma. Di tutte le chiese che erano sorte nell’abitato, non una rimase in piedi, ma crollarono tutte miseramente su se stesse, uccidendo quella metà della popolazione che si era riunita in chiesa proprio per scongiurare Dio che allontanasse il terremoto.

L’area archeologica di Occhiolà

La chiesa di Santa Venera, per esempio. Non rimane che una parete, irriconoscibile. Totalmente crollata, spoliata e dilavata a valle, oggi ci si passa in mezzo e l’unica parete rimasta in piedi sembra più un muro di contenimento della scarpata che non la parete di una chiesa. Anche la grande chiesa di San Leonardo è totalmente sventrata: sorgeva in basso, di fronte al castello, punto di riferimento per i fedeli. Ma anche per coloro che pregavano qui dentro non ci fu nulla da fare. Oggi da qui si gode una piacevole vista sul panorama circostante, un bell’albero dona frescura e fronde ombrose. Un’atmosfera di pace laddove è stata morte e distruzione.

Ciò che resta della chiesa di Santa Venera dopo il terremoto di Occhiolà, 1693

Tra gli edifici rinvenuti ce n’è uno, accanto a quella che fu la chiesa di Santo Spirito, che è stato identificato come l’opificio di un ceramista. Cosa lo ha rivelato? Il rinvenimento di statuine da presepio, oltre ad altri segni della lavorazione dell’argilla, come il tornio e una cisterna per l’acqua.

Il presepe di Occhiolà

E torniamo al museo di Grammichele. Le statuine del presepe sono lì, esposte tutte insieme in una vetrina. Sono piccole, in terracotta non dipinta e non particolarmente rifinita. Non è quello che potremmo definire un capolavoro di artigianato artistico, ma è senza dubbio una testimonianza di arte popolare della fine del Seicento. C’è la statuina della Madonna, con i capelli biondi, c’è il bambinello, c’è lo scantato, cioè il pastore con la mano alla testa e l’altra sulla pancia, spaventato dalla visione dell’angelo, ci sono pastori e pastorelle, ci sono le pecore, mentre dell’angelo restano solo i piedi e le ali. Per me, che ho ancora vivo il ricordo delle difficoltà nel modellare il das quando ero alle scuole medie, questo presepe è un capolavoro di spontanea arte popolare. Lo adoro. E infatti il Museo di Grammichele gli riserva il posto d’onore.

Il presepe di Occhiolà al Museo civico archeologico di Grammichele

Uscendo dal Museo archeologico di Grammichele si nota come la sua pianta esagonale sia davvero la sua anima. Sparse nelle varie piazzette della città, a partire dalla centralissima Piazza Carafa, si incontrano meridiane artistiche che sul modello di quella disegnata nella piazza principale segnano il tempo e l’ora.

Una delle piazzette, quella davanti a San Rocco, però, ospita il monumento a mio parere più significativo per comprendere la storia di Grammichele, storia che è inscindibile da quella di Occhiolà. Su una grande lastra in bronzo è raffigurata la pianta esagonale di Grammichele, la terra squarciata e le grandi figure dell’architetto e degli operai che pietra su pietra costruirono la città ideale. Sull’altro lato è raffigurata la processione di sfollati sopravvissuti al terremoto: sono coloro ai quali, mi piace pensare, fu concessa una nuova possibilità nella nuova città ideale, una città esagonale.

Devo tutto per questa visita a Loredana Fragapane e Irene Novello che amano Grammichele e Occhiolà di un amore viscerale che trasmettono a chiunque nel momento in cui ne raccontano. Grammichele è la meta ideale per chi vuole scoprire un luogo poco battuto in Sicilia. Uno dei luoghi che ho potuto scoprire grazie alla Rassegna del Documentario e della Comunicazione archeologica di Licodia Eubea.

Qui puoi consultare gli orari di visita del Museo civico di Grammichele: http://www.comune.grammichele.ct.it/zf/index.php/musei-monumenti/index/dettaglio-museo/museo/8

2 pensieri su “Il Museo archeologico di Grammichele

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